Legittimità del rifiuto della banca di acquisire crediti di imposta in presenza di operazioni sospette ai sensi dell’art. 122-bis, comma 4, D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), introdotto dal D.L. 157/2021 (c.d. Decreto antifrode).

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Legittimità del rifiuto della banca di acquisire crediti di imposta in presenza di operazioni sospette ai sensi dell’art. 122-bis, comma 4, D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), introdotto dal D.L. 157/2021 (c.d. Decreto antifrode).

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Pubblicato da Maria Teresa De Luca in Decreti · 22 Dicembre 2024
Legittimità del rifiuto della banca di acquisire crediti di imposta in presenza di operazioni sospette ai sensi dell’art. 122-bis, comma 4, D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), introdotto dal D.L. 157/2021 (c.d. Decreto antifrode).
Il Tribunale ha ritenuto fondato e legittimo il rifiuto della banca convenuta di formalizzare il contratto di cessione dei crediti di imposta proposto dalla società attrice. Tale rifiuto si è basato sulla natura sospetta delle operazioni sottostanti, soggette alla normativa antiriciclaggio prevista dagli artt. 35 e 42 del D.Lgs. 231/2007.
La banca, nella propria difesa, ha evidenziato di aver rilevato elementi tali da impedire l’acquisizione dei crediti di imposta, in quanto non conformi alle disposizioni del D.L. 34/2020 (convertito in L. 77/2020, c.d. Decreto Rilancio), come modificato dall’art. 122-bis introdotto dal D.L. 157/2021 (Decreto antifrode). Secondo tale norma, i soggetti cessionari, incluse le banche, non possono procedere all’acquisizione dei crediti in presenza di operazioni "sospette", soggette a obbligo di segnalazione in base alla disciplina antiriciclaggio.
La banca convenuta ha dichiarato di non poter depositare la documentazione comprovante le operazioni sospette, invocando il vincolo di segretezza e richiedendo al giudice un'autorizzazione alla relativa esibizione. Il giudice ha tuttavia respinto tale richiesta, precisando che il giudice civile non può autorizzare preventivamente il deposito di documenti, ma può unicamente valutarne l'utilizzabilità successivamente.
A supporto della tesi della banca convenuta, rilevano le seguenti circostanze:
  1. Prova testimoniale: Un dipendente della Banca, ascoltato come testimone, ha riferito che     il proprio istituto di credito aveva rifiutato analoghe cessioni di credito,     rilevando anomalie nei valori delle pratiche proposte. In particolare, una     delle pratiche relative al “bonus facciate” presentava cifre irrealistiche     rispetto al valore medio di interventi analoghi, circostanza che aveva     fatto emergere il sospetto di fatture “gonfiate”.
  2. Indagine della Guardia di Finanza: Dagli articoli di stampa prodotti dalla banca convenuta, risulta che     la società attrice è stata coinvolta in un’indagine penale culminata con     il sequestro di beni nei confronti del proprio legale rappresentante,     provvedimento disposto dal GIP del Tribunale di Busto Arsizio. Tale     circostanza, pur non rilevando ai fini dell’accertamento della     responsabilità penale, costituisce un ulteriore elemento di sospetto sulla     regolarità delle operazioni sottostanti ai crediti di imposta proposti in     cessione.
Alla luce di tali elementi, il Tribunale ha ritenuto giustificato il comportamento della banca convenuta. La presenza di operazioni sospette e il conseguente obbligo di segnalazione ai sensi della normativa antiriciclaggio hanno impedito alla banca di perfezionare il contratto di cessione, legittimando così il rifiuto opposto alla società attrice.
Conclusione: La domanda attorea è stata rigettata in quanto infondata, confermando la legittimità del rifiuto opposto dalla banca.



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